16/12/12

il Burlesquoni n. 2

Guardando questa copertina puoi ascoltare Attenti al lupo di Lucio Dalla

28/06/12

Santiago del Cile, innamorarsi di una città


Reduci da un breve viaggio a Santiago del Cile, (la nostra prima volta) Maria e io siamo rimasti sorpresi da come la città ti accoglie senza traumi, tranquilla, assolata, impegnata, elegante...
Non si parcheggia nelle strade, le corsie destinate ai mezzi pubblici sono prevalenti, andare a piedi è quasi necessario, le fermate della metropolitana (che è la più moderna di tutta l'America latina)  sono come un serpentone che ti accompagna fedele e puntuale, quasi all'angolo di ogni avenida.

Bella Santiago, ti affascina col suo mischiare moderno e "coloniale": architettura classica, un po' spagnola, un po' francese, un po' tedesca e un po' italiana, mentre il moderno assume forme conosciute o originali soprattutto con la grande quantità di vetro che cerca di prendersi tutta la luce naturale possibile e che la mattina arriva dentro le auto e le case come gentili e affilate lame di luce.

Bella Santiago, che ogni mattina ti svegli e lo spettacolo che ti propone sono le grandi montagne della cordigliera. In città, fa giorno con un'ora e passa di ritardo da quello che siamo abituati a immaginare,  perché il sole, prima di arrivare, deve fare lo "sforzo" di scavalcare quella muraglia innevata che va dai 3000 ai 4000 metri e che la vedi, lì vicina, enorme, maestosa, temibile, ma irresistibilmente ipnotica. E i tramonti riempiono la città e le montagne di toni talmente caldi che sembrano una di quelle illuminazioni artificiali create ad hoc per dare atmosfera ai palazzi storici europei. Ma qui, è la natura che ti fa questo regalo!

Bella Santiago, povera e ricca, giovane e anziana, moderna e antica, classica e inconsueta, calda e fredda, trafficata e senza auto, a dimensione umana, con gli stradoni super illuminati e i coloratissimi grattacieli, placida, sgarbata e gentile, poligenica e oligogenica, e poi, con i garage che sono sottoterra fino a cinque e passa piani, ricchissima di parchi curati e monumenti, piena di vita commerciale nei negozi e sui marciapiedi.

Bella Santiago, dove si mangia benissimo carne e pesce e si beve meglio coi suoi souvignon limpidi e gelati e i suoi cabernet color rubino, dove se trovi il posto giusto, non è raro fare colazione, terminare pranzi e cene con un caffè tutto nostro, italiano, fatto proprio come lo sappiamo apprezzare noi. Ma poi, come non gioire di fronte  alla tolleranza che vede in alcuni locali un cartello che recita: "Bienvenidos fumadores".


Bella Santiago, ci sei rimasta nel cuore. Torneremo!

03/06/12

IL BURLESQUONI

Un po' di satira, anche se in questo momento c'è poco da ridere.

30/05/12

Dajaksche vrouwen in meisje


Dajaksche vrouwen in meisje,  giovani donne dayak. 

Innamorarsi di un acquerello e acquistarlo a Sao Paulo. Raramente mi capita di comprare una cosa senza sapere se possa essere stata usata per arricchire un libro o altro, ma a questo originale, disegnato e colorato con una buona tecnica, non ho saputo resistere. 
Il disegno che porta un titolo in tedesco o in olandese e svela i nomi delle tre giovani donne Ité, Silau e Dowin, è corredato da un testo in inglese, scritto da una calligrafia non certo all'altezza del disegno e riporta un brano del poemetto The Island- secondo canto, parte VII di Lord Byron, credo l'ultima opera scritta dal poeta romantico inglese ispirata all'ammutinamento del Bounty: eccone il testo diviso così come nel disegno

SOTTO ITE'
There sat the gentle savage of the wild,
In growth a woman, though in years a child,
As childhood dates within our colder clime,
Where nought is ripened rapidly save crime;
The infant of an infant world, as pure
From Nature-lovely, warm, and premature;
Dusky like night, but night with all her stars;
Or cavern sparkling with its native spars;
With eyes that were a language and a spell,
A form like Aphrodite's in her shell,
With all her loves around her on the deep,
Voluptuous as the first approach of sleep;
Yet full of life-for through her tropic cheek

SOTTO SILAU
The blush would make its way, and all but speak;
The sun-born blood suffused her neck, and threw
O'er her clear nut-brown skin a lucid hue,
Like coral reddening through the darkened wave,
Which draws the diver to the crimson cave. 
Such was this daughter of the southern seas,
Herself a billow in her energies,
To bear the bark of others' happiness,
Nor feel a sorrow till their joy grew less:
Her wild and warm yet faithful bosom knew
No joy like what it gave; her hopes ne'er drew
Aught from Experience, that chill touchstone, whose
Sad proof reduces all things from their hues:
She feared no ill, because she knew it not,

SOTTO DOWIN
Or what she knew was soon-too soon-forgot:
Her smiles and tears had passed, as light winds pass
O'er lakes to ruffle, not destroy, their glass,
Whose depths unsearched, and fountains from the hill,
Restore their surface, in itself so still,
Until the Earthquake tear the Naiad's cave,
Root up the spring, and trample on the wave,
And crush the living waters to a mass,
The amphibious desert of the dank morass!
And must their fate be hers? The eternal change
But grasps Humanity with quicker range; 
And they who fall but fall as worlds will fall,
To rise, if just, a Spirit o'er them all.

Non riesco ad immaginare del perché l'autore abbia optato per questa associazione, salvo il vago riferimento che può avere la vicenda di Christian - l' ufficiale che comanda l'ammutinamento del Bounty -  e i suoi compagni (sottotitolo al poemetto The Island) al popolo e in questo caso alle donne Dayak come facenti parte di un infinito e non geograficamente  puntuale numero di isole. 
I Dayak vivono nella zona ovest del Borneo distribuiti fra Malesia, Indonesia e Brunei. Si può leggere di loro che nel passato erano temuti tagliatori di teste, mentre a me affascina soprattutto la loro arte, molto curata, dei tatuaggi ornamentali.
Insomma, non troverò mai, credo, un riferimento certo a questo bell'acquerello, ma forse la rete mi aiuterà; per questo aggiungo l'ingrandimento di un'annotazione a matita che è nel fondo del disegno: è un nome certamente ma che non riesco a decifrare completamente. 
E infine, a proposito dei tatuaggi Dayak, inserisco la pagina di una enciclopedia (Meyers Konv.-Lexikon, tavola Ornamentale Tättowierung)  molto popolare in Germania alla fine de 1800 dove nelle figure 5 e 6 (mano e piede) si mostra lo stile armonioso e geometrico e delicato con il quale questo popolo adorna ancora oggi la propria pelle.

15/05/12

IL SUONATORE DI VIOLINO: RAFFAELLO O SEBASTIANO DEL PIOMBO?


Il suonatore di violino di Raffaello, il suonator di violino di Raffaello, il violinista di Raffaello, le joueur de violon de Raphael, ritratto di violinista di Raffaello...
Ho questa incisione in casa e ho fatto una ricerca soprattutto per scoprire dove si trova l'originale. Tutt'oggi ho appreso che, l'opera è stata a Roma, di proprietà prima dei Barberini e poi della Famiglia Sciarra, che, in seguito, è stata venduta a qualcuno.
Intanto sul mistero dell'autore,
leggo così dal libro La Collezione di Antonio Sciarra (1752-1832): Di nuovo Cavalcaselle e Eustlake sembrano procedere in modo analogo quando esaminano il celebre Ritratto di giovane di Raffaello. E' danneggiato e molto ridipinto, non può essere di Raffaello, ma ha qualche affinità con il Ritratto di suonatore di violino allora a Roma nella Collezione Sciarra con la stessa attribuzione. A questo punto però, sotto il disegno del quadro, fatto nel suo taccuino di appunti, a Cavalcaselle scatta un'annotazione fulminea: "SEBASTIANO". Il ritratto è infatti pubblicato come opera di Sebastiano del Piombo nella History of Painting in North Italy del 1871 che è preparata dal grande lavoro e dai viaggi che egli compie alla metà degli anni sessanta. Se il disegno riprende in modo sommario il celebre Ritratto di giovane creduto di Raffaello, il giudizio appare più netto della volta precedente: "Motta - Tibaldeo - detto Raffaello ed è in [realtà] Sebastiano del Piombo del tempo e nel modo del Suonatore di violino a Roma".
Poi, grazie alla Fondazione Zeri scopro che il quadro  anche se resta con la necessaria attribuzione di Anonimo, è definitivamente riconosciuto al Del Piombo e che l’opera originale datata 1518 è in Francia, esattamente a Parigi ed è parte della Collezione G. de Rothschild. La stessa Fondazione Zeri, cataloga tutte le copie che sono in giro per il mondo e che ho messo insieme con le località e l’appartenenza. L'incisione non firmata,ma di grande qualità, invece dovrebbe essere di un artista che si chiama Jakob Felsing, incisore tedesco  nato a Darmstadt nel 1802.

Infine guardate il risalto che ebbe la cessione da parte della Famiglia Sciarra alla Francia di 10 opere fra le quali Il suonatore di violino (Corriere illustrato delle famiglie, 1 maggio 1892) 

26/03/12

Valdicastro, come fanno i marchigiani





Conosco bene la mia regione di nascita, le Marche, e soprattutto la parte che comprende la "frontiera" fra la provincia di Macerata e di Ancona. E ogni volta che ci torno mi sorprendo a fare sempre le stesse considerazioni in un misto di nostalgia e sorpresa, perché i luoghi che si estendono dolci e curati davanti ai miei occhi, ogni volta, ma proprio ogni volta, mi raccontano di uno dei pregi dei marchigiani: sei libero di fare tutto, proprio tutto, ma con il rispetto delle regole, dell'armonia e dell'eleganza che servono a far del posto che si è deciso di accudire, un luogo salvaguardato per la felicità della natura e poi reso bello per la felicità degli occhi di tutti.

Come fanno i marchigiani?
Semplice: lavorano tantissimo, con passione e responsabilità.
Con Maria ci siamo inerpicati nella parte di appennino che divide le valli del maceratese fra Cingoli e Apiro con la parte che va dai comuni di Matelica e di Fabriano. In mezzo Monte San Vicino (1400 metri sul livello del mare), uno spettacolo della natura.
Ma la storia che volevo raccontare era un'altra.
Per due notti, siamo stati ospitati in un luogo che definire fuori dal comune è poco.
Il luogo è un bellissimo altipiano a 650 metri di altezza che si chiama Valdicastro, 1000 ettari di pascoli e boschi e dove al centro c'è un'abbazia fondata fra il 1005 e il 1009 da S. Romualdo.
L'abbazia mantenne grande autorità e prestigio sino alla metà del '400, dopo di che ebbe inizio un lento declino.
E il privato e proprietario attuale che l'ha fatta rinascere tutta da solo si chiama Filippo Zenobi. 
Filippo mi ha raccontato di come il restauro integrale di questa opera gigantesca ebbe inizio nel 1996 per terminare 10 anni dopo. 
Nei suoi occhi , mentre raccontava di questo imponente lavoro e dei numerosi interventi e di sistemi antisismici adottati, quasi si riuscivano a vedere cadere le pietre che, una per una, si incastravano nella magìa della ricostruzione.

Ora l'abbazia è trasformata in un unico e straordinario luogo di accoglienza per coloro che rispettano e danno valore alla natura incontaminata e sana. Ma c'é di più, la chiesa, anch'essa completamente ricostruita ha parti ancora risalenti all'epoca della sua edificazione, compresi alcuni affreschi che ne arricchiscono le pareti, mentre tutta la struttura monastica conserva ancora le stanzette o "celle" dei frati presenti allora e le stanze di vita comune e di preghiera, i corridoi e il chiostro.
Quello che succede a chi ha la fortuna di conoscere questo luogo, come è accaduto a Maria e me, è appunto di ritrovarsi in un posto che si pensava non potesse esistere più, dove al mattino ti svegli con il sole che sorge e entra dalle finestre della stanza come accadeva ai frati nel XI secolo  e dove poi, i primi sguardi sono destinati ai prati e ai boschi che circondano l'abbazia.
E qui accade una cosa strana, ti guardi intorno e vedi la natura, bella, potente, unica, ma che esige amore, e il miracolo della natura si unisce all'atmosfera di rispetto di chi scelse, mille anni fa, una vita di preghiere e di lavoro.
Poi il cibo che Filippo ci ha offerto di consumare garantendo sulla genuinità di tutti i suoi prodotti, raccontandoci di come mucche, pecore, maiali, lì a Valdicastro, vivano liberi dai recinti e dai mangimi, nutrendosi solo di quello che il territorio regala essi, e di come animali, prati, boschi e acqua, fanno un cerchio perfetto nella delicata  geometria ecologica dell'altipiano. Poi ancora abbiamo percepito forte, la fierezza  di chi sa come parlare alla natura e sa sentirsi integrato in tanta armonia. E con Maria, che eravamo lì a mangiare, ci siamo saziati di quelle parole che poi sono diventate veri sapori, veri profumi e vero piacere.


Poi, ancora, cinque sorgenti danno acqua a volontà e l'energia  elettrica autoprodotta...
Bravo Filippo, protettore del suo piccolo feudo indipendente e dal quale ho appreso in due giorni che un mondo bello e genuino ancora esiste.
Infine, quando, con mille rimpianti, siete pronti a partire per tornare nel mondo comune, passate per la loro macelleria e a prezzi da produttore, portate via quelle cose buonissime che sanno fare solo loro e i loro sani animali.
Come fanno i marchigliani?
Andate a Valdicastro e lo capirete conoscendo Filippo Zenobi.
www.valdicastro.it